Storia di Roccalbegna - CELLA SANCTI MINIATI

Roccalbegna
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Storia di Roccalbegna

Questa terra, che offriva rifugi nelle numerose grotte carsiche, vie naturali segnate dai fiumi e dai fossi, ampi crinali, umide pasture, acque, vene metallifere e un clima temperato, dette riparo nella Preistoria all’antica umanità e favorì un popolamento insediativo, testimoniato ovunque dalla presenza di reperti archeologici erranti del Neolitico, Eneolitico e dell’ Età del Bronzo. Sono stati rinvenuti punte di frecce, accette di selce, zappette, asce di bronzo, alabarde e pugnali di rame. Un ricco deposito è venuto alla luce in un inghiottitoio a Poggio la Sassaiola (943 mt. s.l.m.).

Tracce della presenza etrusca si trovano intorno al territorio di Roccalbegna, più ricche e consistenti nella media e bassa valle dell’Albegna. E’ certo, però, che l’alta valle dell’Albegna era il transito per chi risaliva da Aurinia, Marsiliana, Heba, Ghiaccio Forte verso il Monte Labbro e il cono selvoso dell’Amiata, considerato un luogo sacro, sede del dio Tinia (Giove dei Latini), nominato tre volte nel Fegato di Piacenza. Forse i religiosissimi Etruschi si recavano nei luoghi di culto, nei santuari campestri o nel grande Tempio di Seggiano, di cui rimangono due antefisse di notevole valore artistico e storico.

Anche il pelato Monte Labbro doveva avere per loro un valore simbolico, così aperto al sole e ai venti. Sulla sua cima è stata scoperta da Davide Lazzaretti la tomba di un antico guerriero: fra i sassi emergevano vasi etruschi, una lancia e delle ossa umane.
Si può concludere che la zona, se non abitata stabilmente, fosse frequentata dagli Etruschi, forse pastori e agricoltori, di passaggio.
Nelle nostre terre è rimasto fino a poco tempo fa un loro metodo particolare nella coltivazione della vite: i bastoni di sostegno, rebbi, erano costituiti spesso da alberi, attaccate ai quali le viti crescevano rigogliose verso l’alto e davano uve migliori per il vino.

Anche i Romani popolarono le nostre zone intorno e lungo il fiume Albegna e risalirono la sua vallata da Saturnia al Monte Labbro, verso Siena, con una grande selciata ancora oggi evidente e facilmente percorribile. Devono aver spinto la centuriazione da Saturnia fino al confine con Arcidosso testimoniata dal toponimo Pian degli Archi: l’arca era un segno di confine usato dagli agrimensori romani.
In tutta la zona campi lavorati, frutteti, orti, condotte di acque documentati nelle prime carte dell’ Abbazia di San Salvatore (700-800 d.C.) stanno a ricordare la tecnica agricola romana.

La decadenza dell’Impero Romano vide la fine della florida Maritima per le invasioni e le violenze dei Goti, Avari, Saraceni, Longobardi (prima della loro conversione al cattolicesimo). E le zone interne collinari, compresa quella dell’alta valle dell’ Albegna, dettero asilo a quanti dalla pianura furono costretti a fuggire.
La via Saturnia-Monte Labbro agevolò l’esodo e fu essenziale per lo sviluppo del territorio.


Nacque così, dai fuggitivi della Maremma, Fauclano, testimoniato nel 776-787-804-841-852 nelle carte dell’Abbazia di San Salvatore, come vico insistente nell’omonimo fondo.
Doveva essere un piccolo agglomerato di casupole strette alla roccia, oggi chiamata Cassero, dalla parte di mezzogiorno, abitate da pastori e agricoltori.
Era questa la comunità plebana sotto la guida del presbitero che esercitava funzioni religiose e civili nella piccola pieve paleocristiana di San Giovanni Battista, posta nella giurisdizione ecclesiastica prima di Saturnia e poi di Sovana, sede ritenuta più sicura dalle incursioni dalla costa.


Lungo la grande selciata, Monte Labbro-Saturnia, i monaci benedettini della potente Abbazia regia longobarda di San Salvatore fondarono una cella a Campusona, nei boschi del Pescinello, poi scesero sulla riva sinistra dell’Albegna, di fronte a Fauclano, dove crearono la Cella Sancti Miniati. Da qui si insediarono a Vallerano, Rocchette di Fazio, Saturnia, Montemerano, Cavallini, Stachilagi, Marsiliana fino alla foce dell’Albegna: il monastero aveva avuto il permesso ripetutamente, anche nell’861 da Lotario I, di prelevare gratuitamente il sale dalle saline alla foce dell’Albegna. Si creò così la “via del sale” lungo il corso del fiume.
La Pieve di San Giovanni e l’Abbazia di San Salvatore apportarono una riorganizzazione del territorio, della sua economia e del tessuto sociale, soprattutto con lo strumento del “livello” secondo l’uso longobardo: vennero concesse a livello vaste aree, perché fossero disboscate e messe a coltura, in cambio di qualche saltuaria opera nei terreni plebani o in quelli dell’Abbazia di San Salvatore. E la vita riprese in questi luoghi.


Dopo un lungo periodo di silenzio nei documenti, all’inizio del tredicesimo secolo compare Roche Albegne, Arce Albigne, Roccha Albigna.
Il vico è diventato castrum, cioè città fortificata con mura, porte e con un castello, la Rocca appunto, costruito su quella roccia precipite sul fiume Albegna, a cui si addossavano dalla parte di mezzogiorno le casupole di Fauclano e la pieve di San Giovanni Battista.
Del castello dei Signori, legati agli Aldobrandeschi, rimangono le mura perimetrali in filarotto molto regolare di pietre conce locali
che incoronano tutto il pianoro sulla roccia. Il castello, circa 3000 mq., dominava la valle dell’Albegna dalle giogaie a nord fino alla gola delle Rocchette di Fazio.
Alla base di questa roccia sempre verso mezzogiorno, il paese si estese al Poggiolo e alla Balza, uno sperone roccioso sulla vallata, ben difendibile.
Dalla parte opposta poche casupole si acciambellavano intorno alla Pietra, un enorme masso dalla parte di ponente, su cui fu costruito un fortilizio. Mura congiungevano la Rocca  con la Pietra.
Alla Balza sorgevano il Palazzo della comunità, quello di Giustizia, le carceri, l’Ospedale di Sant’Antonio; al Poggiolo c’erano il forno, l’osteria, la cisterna, il torchio per le olive, la Casa della Lana con il suo architrave di travertino, in cui sono incisi gli arnesi della tosatura e la Balzana (stemma di Siena), che poggia su due teste scolpite: una di pecora e l’altra di ariete.

La Repubblica di Siena corteggiò a lungo i Signori di Roccalbegna, già prima del 1250, con il ripetersi di molte attenzioni (risarcimento delle mura, delle torri, del palazzo, concessione di una guarnigione di dodici soldati, insediamento di un castellano senese, fusione di una campana…).
Nel 1295 - 14 e 15 settembre- Siena invia a Roccalbegna Giacomo di Ranieri e Zerro di Fino perché stabiliscano le precise confinazioni del territorio dei Signori di Roccalbegna, onde evitare le continue querele dei paesi confinanti.
Nel 1296, l’8 di aprile, il Governo senese dei Nove delibera di costruire un nuovo paese; il 12 maggio si prepara un grande piano di fabbricazione secondo lo schema del castrum latino; il 12 dicembre Siena entra ufficialmente in possesso della terra e della corte con rogito di Matteo di Bonico, stipulato nel fortilizio della Pietra. Il 25 dicembre 1296 si ha la ratifica definitiva dell’atto. I Signori di Roccalbegna, ricevuti i soldi, si ritirano a Siena.
Con l’avvento di Siena si crea una microcittà tra la Rocca e la Pietra nel cuneo compreso dall’Albegna e l’Armancione, non proprio pianeggiante e irto di sassi affioranti.
Il terreno fu diviso in lotti edificabili da assegnarsi a coloro che ne facessero richiesta per la costruzione di una casa; le terre intorno al paese furono divise in appezzamenti di circa 6000 mq. come proprietà dei nuovi abitanti.
Furono fortificate le mura, in cui si aprivano la Porta di Maremma e la Porta di Montagna alle quali correva diritta da sud e nord la via maestra (il cardo dell’impianto romano); cinque vie si snodavano parallele alla ruga maestra, interrotte da vie trasversali che, dato il dislivello, erano costituite da scalelle o da piagge: via delle Scalelle era il decumano, orientato da est a ovest, detto anche l’ “incrociata”.
Una piazza si apriva sulla via maestra, dove, imponente, fu costruita la chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
Nella piazza, centro della vita politica, economica e religiosa della piccola comunità, sorgevano il Palazzo del Comune, un convento e proprietà immobiliari della chiesa.
L’impianto urbanistico senese è tutt’oggi intatto.


Dopo il 1559 Roccalbegna viene a far parte del Granducato dei Medici. Il Granduca Francesco I dei Medici la concede in feudo a Mario Sforza, conte di Santa Fiora. Rimane sotto gli Sforza fino al 1624.
Dal 1646 al 1751 è feudo dei Marchesi Bichi-Ruspoli.
Nelle nostre terre si spengono i conflitti fra le potenti famiglie medievali, ormai estinte o assorbite nell’orbita prima di Siena e poi di Firenze e nella ritrovata pace la popolazione gode di un rinnovato benessere, che si riscontra nelle molte opere d’arte rinascimentali e seicentesche, nel rifacimento a giardino della vecchia rocca aldobrandesca diroccata, nell’aumento demografico, nelle attività economiche.
Nel 1861 Roccalbegna è un comune che comprende le frazioni di Triana, S.Caterina, Vallerona, Cana, Samprugnano nella Provincia di Grosseto






Ancora intatta la piccola città medievale di Roccalbegna, suggestiva nella ordinata e razionale struttura urbanistica. Le sue "rocche" nel centro storico sono monumenti-sculture di una bizzarra e affascinante natura.
Porte, Mura e Torri. Notevole la chiesa dei SS. Pietro e Paolo, grande, con un’ampia navata, molto elevata, coperta a capriate, che si conclude con una scarsella rettangolare coperta a crociera costolonata. Un grande arco a tutto sesto delimita il presbiterio.
La facciata presenta un portale imponente, risaltato sulla muratura di conci regolari di pietra locale, ornato con colonnine tortili, capitelli fogliati, rosette e dentelli.
Il rosone, al di sopra, mostra attualmente l’occhiata vuota: in origine conteneva un ricco traforo in travertino intonato all’ ornato circolare. All’interno interessanti il Battistero e due Acquasantiere, quella Maggiore, finemente ricavata nel marmo, ha la forma di un fiore rinascimentale, un tabernacolo in noce del XVI secolo, un grande crocifisso in legno laccato del XIV secolo.
Notevole il Battistero del XVI secolo a forma di tempietto in peperino tutto affrescato.
Varcata la Porta di Maremma, si trova la chiesetta della Madonna del Soccorso, con il suo campanile a vela. Di pregio la Via Crucis, in legno dipinta a mano. Qui fu scoperto nella sacrestia uno stendardo in seta delle insorgenze dei "Viva Maria".
Ai piedi del Cassero si trova l' Oratorio del SS. Crocifisso, già chiesa plebana di S. Giovanni Battista, con il suo singolare campanila a vela su cui è istallato il Campanone.
Al Poggiolo è interessante il Palazzo della lana, XII secolo, per il suo architrave scolpito che poggia su due teste di pecora.
Il rinascimentale Palazzo Bichi-Ruspoli, elegante con il suo portale in bugnato sormontato dallo stemma gentilizio, sorge in Via Roma.
La Torretta dell'Orologio sopra la Loggia.
Il Torrione e le Torricelle erano punti di vedetta nelle Mura Senesi.
La Bigattiera nella via della Pietra era un grande edificio militare, poi trasformato dagli Amphoux in allevamento di bachi da seta. Da cui il nome "Bigattiera" (Bigatto è detto il baco da seta).
E poi vie ombrose, logge, scalelle, piagge, balzoli fioriti.


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