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Un suggestivo e pittoresco angolo di Maremma


Non a torto - seppure con un certo spirito campanilistico - l'abbiamo sentito definire La Piccola Svizzera.

Il luogo è davvero straordinariamente pittoresco e tranquillo, diremmo quasi mistico, invitante alla serena ed indisturbata meditazione, anche sotto... l'astratta minaccia di quel conico Sasso altissimo che la bonaria satira dei paesi circonvicini vuol mantenere in bilico sopra un "se" troppo scherzoso per essere preso sul serio.


- Se il Sasso scrocca, addio la Rocca

Questo spiritoso adagio dura, ormai, da tempo immemorabile; ma il famoso Sasso di Roccalbegna, quasi a sfida di chi lo vorrebbe considerare un elemento precipite di quello scenario altamente suggestivo che s'impone alla vista del meravigliato visitatore, si ederge sempre saldissimo a sovrastare la geometria delle vie rocchigiane.


Elemento decorativo di quella affascinante architettura naturale, il monolite di Roccalbegna appare come una grande stele primitiva, come un indice puntato costantemente verso il cielo, quasi a ricordare che tutto deve attendersi di lassù, dove ora sorride il sole ed ora s'addensano le nubi, dove gli uomini possono trovare - e la trovano - l'esatta misura di se stessi, quando volgono lo sguardo alle luci incommensurabili che s'accendono ogni sera -.


Vicini al Sasso, che troneggia sui tetti del paese, eretti a formare l'angusta e profonda gola dove l'Albegna - ancora infantile - a volte bisbiglia fra i macigni levigati e, a volte, precipitando lattiginoso, rumoreggia furiosamente, si innalzano brandelli di roccia lavati, sfibrati e tormentati dal ripetersi millenario di Giove pluvio e di Eolo sferzante.


Il centro abitato - nonostante la rupestre sede topografica - si estende quasi interamente in piano.

Le strade sono asfaltate e lastricate; e alcune di esse, per una bizzarra quanto suggestiva urbanistica, si distendono al di sotto delle abitazioni che vengono sostenute da una sequenza d'archi a sesto ribassato.


Si ha l'impressione - percorrendo queste vie originalissime, raramente riscontrabili altrove - di avvertire l'arcana atmosfera degli abitati orientali. Cosicché, anche questo elemento della suggestività rocchigiana origina un subitaneo senso di ammirazione e di sorpresa.


Alla sommità del Sasso che sovrasta le abitazioni di qualche decina di metri (settantacinque circa), si giunge ora facilmente percorrendo una strada da poco costruita e inerpicandosi, nel tratto finale, nei gradini scavati nella roccia.


Raggiungere la notevole altezza del suggestivo macigno costa, è vero, una non lieve fatica; ma questa è ampiamente ripagata dalla panoramica sottostante e dalla bella vista che si gode in direzione della Maremma.


È sorprendente la geometrica disposizione dell'abitato, che rappresenta l'eccezione alla regola dei vecchi schemi costruttivi, nient'affatto impronte a criteri di razionalità e di estetica, ma attuati, in ossequio a quel gretto empirismo di cui, oggi, molti centri importanti ed in continuo progresso, come ce ne sono anche nella provincia di Grosseto, risentono la deprimente goffaggine.


Nessuno ci distoglie dall'idea che nella regolarità costruttiva di Roccalbegna si nasconda il consiglio di un maestro, di persona che fosse - ad esempio - in confidenza con il disegno, con la prospettiva. Idea non certo destituita di fondamento ove si pensi che qui, a Roccalbegna, non furono pochi gli artisti di talento ad usare pennelli e tavolozze per dipingere sacre immagini adornanti, ancora oggi, gli interni della romanica Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, della Chiesetta consacrata alla Madonna del Soccorso, dell'Oratorio del crocifisso, che risalgono al secolo XIII.


Questi i nomi e le opere: Salimbeni "Deposizione", Domenico Beccafumi, detto il "Mecherino", “Madonna del Rosario", Luca di Tommé "Crocifisso" dipinto su tavola sagomata, Ambrogio Lorenzetti "Trittico" costituito da una Maestà e da due tavole riproducenti S. Pietro e Paolo.


La storia della più che millenaria “Arce Albigne" non è molto densa di avvenimenti. Sembra che le origini del paese risalgano al secolo VIII ; ma si tratta di una semplice supposizione suffragata da fragili indizi. Come la maggior parte delle località maremmane, fu dei Conti Aldobrandeschi , poi di Siena inf ine dei Medici , dopo di che seguì la sorte del territorio regionale.


A pochi Km. da Roccalbegna si trovano Cana - Vallerona - S. Caterina - Triana e Usi.

Piccoli paesi i quali sopperiscono alla mancanza di attrattive urbanistiche e monumentali con quei preziosi requisiti che in tempi come i nostri, svuotati di spiritualità e di amore per le cose semplici , colmi di angoscia e di alienazione, fanno ritrovare, a chi abbia la fortuna di visitarli e di soggiornarvi , la perduta dimensione di un'esistenza veramente umana.


Paeselli immersi nella quiete della natura, assorti nella contemplazione di lontani orizzonti : manciate di case dove i giorni e le stagioni - in netto contrasto con la febbrile società in cui viviamo - scorrono lenti e tranquilli, nella fragranza e nel sapore di antiche tradizioni, di umili rituali quotidiani, di amicizie rese indissolubili dal diuturno vivere insieme dividendo la buona e la cattiva sorte.


Cana, Vallerona, S. Caterina..... paesi che, se non hanno altro da offrire, danno dono della loro squisita ospitalità che si concretizza, e diventa subito amicizia, in cantina, davanti ad un fiasco di vino “bono", ad un piatto di prosciutto saporito, ad un pezzo di "ammazzafegato" reso gustoso ed appetitoso dal peperoncino che cresce negli orti locali.


Paesi dove i pochi ristoranti, semplici e modesti , sono ancora in grado di servire cibi veramente genuini, cucinati con l'arte sobria, ma nello stesso tempo ricca di una serie infinita di sapori, che solo le donne di casa conoscono.


Di notevole interesse, grazie alla particolare sede topografica e all' imponente Rocca che si eleva sopra un enorme, pittoresco sperone roccioso, è il borgo montanaro di Triana (767 metri sul livello del mare), situato là dove la strada che discende dall'Amiata si biforca per dirigersi da una parte verso Petricci, dall'altra verso Roccalbegna. Ombrose e vaste distese di pini fanno di questa località una delle mete estive più amene e ritempratici della provincia Grossetana.


Degno di una visita, anche se limitata al vasto piazzale che s'affaccia sull'orlo di un enorme precipizio, è l'antichissimo castello merlato: una costruzione di rara suggestività specie quando come un miraggio appare di lontano in mezzo alla solitudine di una campagna arcaica, tipicamente alpestre, che mostra da sempre il suo volto tormentato e dimesso.


Pure questo sperduto maniero fu della potente famiglia Aldobrandesca (si dice che ne possedesse tanti, quanti sono i giorni dell'anno) ; poi, dal 1388, dei Conti Piccolomini che lo tennero ininterrottamente - raro caso, se non unico nella storia maremmana - fino al 1962.


Dall'alto delle sue torri si domina un vastissimo panorama. Verso sud, seguendo con lo sguardo il digradare del territorio solcato dal fiume Albegna, si scorgono, sulla remota linea dell'orizzonte, il promontorio Argentario e l'isola del Giglio emergenti dalle acque del Tirreno incendiate dalla luce del sole; verso tramontano è visibile invece, il vicino rilievo conico del Monte Labbro dove il "Profeta dell'Amiata" o “Santo di Arcidosso", come lo chiamano da quelle parti - al secolo Davide Lazzeretti - fondò la famosa religione dei “Giurisdavidici " di cui ebbero occasione di occuparsi , in vari momenti, scrittori sconosciuti e famosi .


Terra - questa rocchigiana - così prodiga di suggerimenti che meriterebbero più approfondita analisi e assai più ampia illustrazione. Ma lo spazio è ti ranno e bisogna concludere. Lo facciamo con un certo rammarico per non aver potuto mettere in risalto tutto quanto sarebbe stato nei nostri desideri.


Ci congediamo, tuttavia, non senza la speranza di essere stati chiari sull' aspetto che più ci premeva: quello delle bellezze naturali e della suggestività che madre natura ha profuso a piene mani sul lembo di Maremma dove nasce - nel candore del suo nome - il fiume Albegna caro agli Etruschi di Saturnia e di Caletra.


Autore del testo è Alfio Cavoli   (pubblicato sul n. 8/74 della rivista In giro per la Toscana)

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