Storia
ROCCALBEGNA
C’è una terra diversa, nel sud della Toscana, un po’ più interna rispetto alla solita Maremma, che perde le dolci caratteristiche della pianura e diventa aspra e pittoresca. Un anfiteatro di poggi, un enorme macigno, un forte banco di roccia, un fiume che precipita in un mare di massi… ecco la cornice straordinaria di un paese straordinario. Un luogo della memoria, nel quale tornare per essere comunque a casa, per essere in pace con se stessi e magari con gli altri, per riscoprire la forza della natura e così la propria forza.
Roccalbegna, paese incantato. Paese di sassi. Paese di acque. Paese di storia, di arte. Di pochi uomini e di molte anime.
L’impianto ortogonale che distingue Roccalbegna dagli altri paesi dell’Amiata Grossetano è frutto dell’intervento senese del 1298, e deriva probabilmente dal cardo e decumano romani, sviluppati entro vere e proprie mura. Nel corso dei secoli Roccalbegna ha legittimato la sua appartenenza alla Toscana, terra di città, conservando l’impianto originario ed aggiungendo elementi databili: si pensi alla "Strada Nova" che nei primi decenni del ‘900 aveva le facciate degli edifici decorate da dipinti, in un’evidente richiamo Art Decò.
Bibliografia:
Santi Bruno, Guida storico-artistica alla Maremma, Siena 1995
AA.VV. I castelli del senese, Siena 1976
Ciacci Gaspero, Gli Aldobrandeschi nella storia e nella Divina Commedia, Roma 1935
Corridori Ippolito, La Comunità di Roccalbegna, Pitigliano 1975
Kurze Wilhelm, Codex diplomaticus amiatinus, Tubingen 1974
Lisini A. Liberati A., Notizie genealogiche della famiglia Piccolomini di Siena, Miscellanea st. Senese, Siena 1961
Marrara Danilo, Storia istituzionale della Maremma senese, Siena 1961
Nicolosi Carlo Alberto, La Montagna maremmana, Bergamo 1911
Piccolomini Paolo, La Statuto del castello di Triana, Siena 1905
Repetti Emanuele, Dizionario storico-geografico della Toscana, Firenze 1843
Mazzolai A., Maremma, storia ed arte, Firenze 1967
Pieri S., Toponomastica della Toscana Meridionale, Siena 1969
Biondi Angelo, La contea della Triana, Orbetello 1984
Imberciadori I., Per la storia dell’Amiata Occidentale: dalla quercia alla vite, all’olivo nella valle del Lente, in Rivista di Storia dell’Agricoltura n. 1 1980
Del Prete C. Tichy H. Tosi G., Le orchidee spontanee della maremma grossetana, distribuito da Libreria Massimi di Porto Ercole 1993
Arrigoni P.V. Mozzanti A. Ricceri C., Contributo alla conoscenza dei boschi della Maremma grossetana, 1990
Contorni M., Orchidee spontanee del Monte Amiata, 1981
De Dominicis V. Casini S., I querceti decidui delle colline del Senese e del Grossetano, 1980
Atti del Concorso internazionale EX LIBRIS, San Colombano al Lambro, 1997
SVAGO ED ESCURSIONI
Da visitare:
il Cassero Senese, ieri fortezza e oggi giardino storico, con scorci panoramici,
la Pietra, ieri torre d’avvistamento e oggi posizione privilegiata con vista sulla Valle dell’Albegna,
la Chiesa di SS. Pietro e Paolo, con il trittico di Ambrogio Lorenzetti la "Madonna delle Ciliegie",
la Raccolta d’arte sacra della Chiesa del Crocifisso,
il Mulino di Mezzo, con le macine che hanno resistito all’incuria e alle intemperie,
il Museo Etnografico di S. Caterina
il Castello Piccolomini di Triana
Bosco dei Rocconi WWF
Riserva Naturale di Pescinello
Riserve di Caccia
Roccalbegna è a metà strada tra il mare del Parco dell’Uccellina e la vetta del Monte Amiata, a 20 minuti da Saturnia e dalla sue Terme, a un’ora da Siena. Vicino è anche il Parco del Tufo: Sovana, Sorano e Pitigliano, con le necropoli etrusche. Per percorrere la strada delle origini (la via del sale) si può arrivare ad Abbadia San Salvatore ad est e poi andare fino a Talamone ad ovest.
Negli immediati dintorni si possono visitare:
Rocchette di Fazio, a strapiombo sul Fiume Albegna,
Santa Fiora con la Peschiera,
il Monte Labro, con le vestigia dei Giurisdavidici
il Parco Naturalistico del Monte Amiata,
Scansano con i suoi vini.
Possibilità di:
Escursioni a cavallo
Escursioni in mountain-bike
Tennis
Piscina
Massaggi
Informazioni in loco.
EVENTI *
5-6 gennaio Focarazza dell’Epifania
30 aprile-1 maggio Il Maggio
29 giugno Festa dei SS. Pietro e Paolo
23-25 luglio Festa della birra e dello gnocco e Festa del Patrono S. Cristoforo
8 agosto Fiera di S. Caterina
10-30 agosto Roccalbegna Grafica
10-16 agosto Sagra del Biscotto e del Melatello
10-16 agosto Sagra della Trippa di Vallerona
16 agosto Fiera di S. Rocco di Santa Fiora
1-5 settembre Sagra della Biondina di Cana
12-14 settembre Festa del SS Crocifisso
6-8 ottobre Festa della B. V. del Rosario di Vallerona
22 novembre La Focarazza di S. Caterina
* I programmi di dettaglio delle manifestazioni sono reperibili presso le locali Pro-Loco.
PRODOTTI LOCALI
Formaggi Caseificio Il Fiorino Roccalbegna tel. 0564989059
Olio extravergine di oliva Frantoio L’Oliviera Roccalbegna tel. 0564989074
Frantoio La Pieve Vallerona tel. 0564980041
Frantoio di Cana Cana tel. 0564980196
Miele Niccolò Fabbreschi Roccalbegna tel.
Carni Macelleria Daniele Roccalbegna tel. 0564989062
Ferro battuto Giorgio Magnani Vallerona tel. 0564980282
Ceramiche Roberta Tistarelli Usi tel. 0564986110
RISTORANTI E RICETTE
Trattoria e pizzeria LA GROTTA via Amiata Roccalbegna tel. 0564989112
Ristorante LA PIETRA via XXIV Maggio Roccalbegna tel. 05649989019
Trattoria e pizzeria PARCO CASTAGNI Cana tel. 3383971558
Pizzeria LO STOLLO S. Canterina tel.
Acquacotta di Roccalbegna
Ingredienti: 4 cipolle tagliate a fette sottili, 3 gambi di sedano tagliati a fette dello spessore di circa 0,5 cm., qualche spinacio, 3 pomodori piccoli maturi, olio extravergine di oliva, sale, pepe, pecorino toscano, 5-6 uova, brodo, pane raffermo tagliato a fette.
Procedimento: far rosolare la cipolla e il sedano in abbondante olio extravergine di oliva, aggiungere gli spinaci e i pomodori spezzati, far cuocere con il brodo per circa 30 minuti. Nel frattempo preparare i piatti singoli o il vassoio da portata con uno strato di pane tagliato a fette. Togliere dal fuoco la minestra ed aggiungere sale, pepe e pecorino grattugiato e, da ultimo, aggiungere le uova (che potranno, a seconda dei gusti, essere mischiate o lasciate intere). Bagnare con questa minestra il pane già nei piatti e procedere per strati, avendo cura che l’ultimo stato sia di minestra e che ogni fetta di pane sia ben condita. Spolverare con pecorino grattugiato. Si può ingentilire la minestra sostituendo il pecorino grattugiato con pecorino fresco tagliato a fette molto sottili o con parmigiano. Servire preferibilmente calda.
Risotto con le polpe
Ingredienti: pollo, riso, burro, cipolle, sale, pepe, sedano e carota, parmigiano
Procedimento: lessare il pollo in abbondante acqua salata con gli odori come per fare il brodo. A cottura ultimata, togliere il pollo dal brodo e farlo a pezzettini, avendo cura di togliere tutte le ossa. Soffriggere il battuto di cipolla nel burro, aggiungere il riso e procedere come per i risotti, aggiungendo il brodo di pollo. Verso ¾ della cottura, aggiungere le polpe e portare a ultimazione. Fuori dal fuoco aggiungere una noce di burro e parmigiano a piacere.
Minestra della sciorna
Ingredienti: pane raffermo, fagioli, sale, pepe, olio extravergine di oliva
Procedimento: abbrustolire il pane e porlo nei piatti e nel frattempo lessare i fagioli. Mettere i fagioli bollenti con la loro acqua di cottura sopra il pane, condire con sale, pepe e olio. Servire subito.
Ceciareli co’ le sorti
I ceciarelli sono una specie di pasta ottenuta gocciolando uovo sbattuto nella farina
Il solito soffritto di cipolla, poi i dadini di pancetta, che, una volta rosolati, venivano allungati con il brodo. Poi i ceciarelli o i tagliatini davano corpo a questo piatto insieme ad una manciatina di formaggio grattugiato.
(da "I ceciarelli con le sorti", luglio 2002)
Coniglio in porchetta
Ingredienti: un coniglio con le interiora, 150 gr. di pancetta affumicata a dadini, 10 fette di pancetta sottile, 150 gr. di patate a dadini, patate q.b., finocchio, olio, sale, pepe.
Procedimento: tagliare le interiora a dadini e mischiarle alla pancetta affumicata, alle patate a dadini, al finocchio, al sale e al pepe; ripienare il coniglio con questo composto facendone avanzare un poco; avvolgere il coniglio con la pancetta a fette e riporre il tutto in una teglia da forno; tagliare le patate a pezzetti, mischiarle al composto e porle nelle teglia insieme al coniglio. Cuocere in forno a 200 gradi per circa 40 minuti.
Fagottini al pecorino toscano
Ingredienti: 300 gr. di pecorino toscano a pasta tenera, 1 kg. di pastasfoglia, 300 gr. di pomodori freschi, 100 gr. di prosciutto cotto, 1 uovo.
Procedimento: stendere la pastasfoglia col matterello e formare dei quadrati di 15-16 cm. di lato, al centro di ogni quadrato formare uno strato di pomodoro a fette cui sovrapporre uno strato di prosciutto cotto ed un ultimo strato di pecorino, lasciando libero il bordo per circa 2 cm. Chiudere i fagottini con un filo di spago, lasciar riposare per 30 minuti, spennellare con l’uovo sbattuto e cuocere in forno a 180 gradi per circa 20 minuti.
La frittata in trippa
Uova, sale, pepe, formaggio e poco prezzemolo tritato: sbattere bene e fare una bella frittata. Quando è fredda, tagliarla a piccole strisce e affogarle nella salsa di pomodoro nella quale non sta male il peperoncino.
(da "I ceciarelli con le sorti", luglio 2002)
Sedani rifatti
Dopo aver dunque preparato la zuppa con le foglie ancora fragranti, lessavano i crospi e li friggevano generalmente nello strutto. Erano croccanti e saporiti anche così, ma perché "assemassero" di più, potessero cioè soddisfare meglio tante bocche, li "rifacevano" affogandoli in una profumata salsa di pomodoro. Senza friggerli, come abbiamo visto, potevano essere trasformati in appetitosi fagottini; in occasioni eccezionali, poi, uniti ad altre verdure, entravano a far parte degli sformati o se ne faceva un timballo molto saporito, che da tempo non si usa più preparare.
(da "I ceciarelli con le sorti", luglio 2002)
Melatello
Ingredienti:
1 Kg. di zucchero
½ litro di olio d’oliva
400 gr. di noci o mandorle tritate grossolanamente
Un bel pizzico di pepe
1 bustina di lievito per dolci
3 uova
Farina quanta ne basta per un impasto non eccessivamente solido
Procedimento:
Con gli ingredienti si fa un impasto abbastanza solido, si lavora finché non è ben amalgamato e liscio; se ne prendono delle fette, che, appiattite sulla spianatoia, vengono compresse con le formine e incise tutte intorno. Se ne ricavano dei biscotti dello spessore di circa 1 centimetro e si cuociono in forno a 180°.
(da "I ceciarelli con le sorti", luglio 2002)
STORIE E FIABE
Le fiabe locali sono tratte dal libro "Bella bellina", realizzato a cura dell’Associazione "Cella Sancti Miniati"
LA RICOTTINA
C’era una volta una bambina molto povera che si chiamava Bettina.
Un giorno una signora le regalò una bella ricottine fresca per fare una crostata, ma Bettina pensò bene di andare al mercato e di venderla per ricavarne del denaro.
Si mise la ricottina sulla testa e, a busto eretto, si avviò verso il mercato che era abbastanza lontano.
Lungo la strada meditava sul suo avvenire che, ora che aveva la ricottina, immaginava roseo.
Pensava: "Ecco, ora vado al mercato e vendo la ricottina. Con i soldi ricavati compro due pulcini: un gallettino e una pollastrella. Li farò razzolare davanti a casa e, quando la pollastra sarà cresciuta e avrà fatto le uova, gliele farò covare. Così avrò una bella covata di pulcini!
Quando i pulcini saranno diventati galletti, li porterò al mercato e li venderò.
Con i soldi ricavati comprerò due agnellini, uno maschio e una femmina. Li farò pascolare lungo gli argini del fiume e, quando saranno cresciuti, mi faranno altri agnellini e così, piano piano mi farò un piccolo gregge.
Poi lo porterò al mercato, lo venderò e comprerò due vitelli, maschio e femmina. Anche loro cresceranno, faranno altri vitellini e io li venderò al mercato e, piano piano, metterò da parte un bel gruzzolo.
Allora comprerò un bel prato e mi farò costruire in mezzo una bella villetta e la gente, che ora mi disprezza, quando passerà davanti al cancello e mi vedrà nel prato, farà una riverenza e dirà: ‘Buon giorno, signora Bettina’!".
Bettina era così presa dal suo sogno ad occhi aperti che imitò la riverenza e la ricottina, che era sulla sua testa, cadde pesantemente e si spiaccicò sul selciato.
Pianse Bettina, pianse amaramente calde lacrime sui suoi sogni infranti!
BUCHETTINO
C’era una volta un uomo ed una donna che avevano un figliolino che si chiamava Buchettino.
Buchettino era buono, servizievole, gentile con tutti e, soprattutto, ubbidiente ai suoi genitori.
Una volta la mamma gli disse: "Buchettino, spazza la casa che io vado alla messa".
Il ragazzino ubbidiente si mise a spazzare la casa: sotto un mattone trovò un centesimo, sotto un altro ne trovò due, e sotto un altro ancora ne trovò tre: aveva un bel gruzzoletto.
Così si chiese che cosa avrebbe potuto comperare: "ci comprerò le noci…, no, hanno il guscio! Ci comprerò…, ci comprerò… i fichi!".
Li comprò e tutto contento, a cavalcioni sulla finestra, si mise a mangiarli e a buttare le bucce nel cortile.
Poi andò al letto.
La mattina, quando si alzò, ebbe una bella sorpresa: sotto la finestra era nata una focaia.
Buchettino tutto contento, a cavalcioni salì sull’albero e si mise a mangiare i fichi.
Passò l’orco e gli disse: "Buchettino, Buchettino, dammi un fichino con la tua bella manina bianca".
"No, che mi chiappi".
"Non ti chiappo, no, ho fame, dammi un fichino".
Allora Buchettino, che era buono, con la sua manina bianca, gli dette il fichino, ma l’orco birbone lo agguantò: "Non voglio il fico, voglio te!".
Lo prese, lo mise dentro una balla, se lo caricò sulle spalle e lo portò via.
Cammina e cammina, ad un certo punto all’orco venne un bisogno e allora gli disse:
"Buchettino, ti devo mettere qui, perché devo andare a fare un bisogno".
Buchettino allora gli disse: "Vai più in là chè ‘n senta ‘l puzzo" e l’orco andò lontano, ma Buchettino: "Vai più in là che sento il puzzo" e così per tre volte.
Quando Buchettino si accorse che l’orco era lontano, con il suo temperino ruppe la balla, uscì e la riempì di sassi. Poi fuggì.
L’orco ritornò, si caricò la balla sulle spalle dicendo: "Buchettino, Buchettino, quanto pesi!".
Cammina, cammina, l’orco arrivò a casa convinto di avere Buchettino nella balla.
Da lontano iniziò a gridare alla moglie: "Caterinciana, Caterinciana, metti su la paiolana che ho chiappato Buchettino".
L’orco salì sul tetto, scoprì il camino e votò la balla nel paiolo, dove finirono tutti i sassi: si ruppe la paiolana e l’acqua bollente andò per tutta la casa.
Buchettino, che era salito su un tetto vicino, lo prendeva in giro; "Orco, chiappami, ora non mi arrivi più!".
Allora l’orco prese tanti piatti, ne fece una bella pila per salire sul tetto dove era Buchettino.
Quando fu a metà strada, i piatti scivolarono, l’orco cadde malamente e morì.
Buchettino, tutto contento per lo scampato pericolo, tornò a casa sua.
PETUZZO
C’erano una volta un marito e una moglie che avevano un figlio di nome Petuzzo.
Un girono il babbo si ammalò: venne il medico e ordinò una minestra di cavolo.
La mamma disse a Petuzzo: "Petuzzo, Petuzzo, va’ nell’orto a cogliere il cavolo pel babbo che sta male!".
"No, non ci voglio andare", rispose Petuzzo.
"E io lo dirò alla mazza che ti picchi. Mazza, picchia Petuzzo che non vuole andare nell’orto a cogliere il cavolo pel babbo che sta male".
"No, non voglio picchiare".
"E io dirò al fuoco che ti bruci. Fuoco, brucia la mazza, che non vuole picchiare Petuzzo, che non vuole andare nell’orto a cogliere il cavolo pel babbo che sta male".
"No, non voglio bruciare" soffiò il fuoco.
"E io dirò all’acqua che ti spenga. Acqua, spengi il fuoco che non vuole bruciare la mazza, che non vuole picchiare Petuzzo, che non vuole andare nell’orto a cogliere il cavolo pel babbo che sta male".
"No, non voglio spengere" gorgogliò l’acqua.
"E io dirò al bove che ti beva. Bove, bevi l’acqua che non vuole spengere il fuoco, che non vuole bruciare la mazza, che non vuole picchiare Petuzzo, che non vuole andare nell’orto a cogliere il cavolo pel babbo che sta male".
"No, non voglio bere!" rugliò il bove.
"E io dirò alla fune che ti leghi. Fune, lega il bove che non vuole bere l’acqua, che non vuole spengere il fuoco, che non vuole bruciare la mazza, che non vuole picchiare Petuzzo, che non vuole andare nell’orto a cogliere il cavolo pel babbo che sta male".
"No, non voglio legare!" brontolò la fune.
"E io dirò al topo che ti roda! Topo, rodi la fune, che non vuole legare il bove, che non vuole bere l’acqua, che non vuole spengere il fuoco, che non vuole bruciare la mazza, che non vuole picchiare Petuzzo, che non vuole andare nell’orto a cogliere il cavolo pel babbo che sta male".
"No, non voglio rodere!" squittì il topo.
"E io dirò al gatto che ti mangi. Gatto, mangia il topo, che non vuole rodere la fune, che non vuole legare il bove, che non vuole bere l’acqua, che non vuole spengere il fuoco, che non vuole bruciare la mazza, che non vuole picchiare Petuzzo, che non vuole andare nell’orto a cogliere il cavolo pel babbo che sta male…".
Miagola il gatto: "Io mangio, io mangio!".
Stride il topo: "Rodo . rodo!".
Brontola la fune: "Lego – lego!".
Muglia il bove: "Bevo – bevo!".
Gorgoglia l’acqua: "Spengo – spengo!".
Sfrigola il fuoco: "Brucio – brucio!".
Grida la mazza: "Picchio – picchio!".
Petuzzo: "Io vo – io vo!".
PADRON TONDO
C’era una volta un garzoncello che badava le bestie ad un padrone cattivo, avaro e manesco per quanto stupido.
Il giovane rimaneva al suo servizio, perché era orfano e povero e così poteva buscarsi un boccone di pane che spesso si levava di bocca per darlo ai suoi fratellini.
La sera, quando ritornava con le bestie dai campi, ne buscava sempre dal padrone o perché le mammelle delle pecore non erano gonfie a dovere o perché i maiali grugnivano perché avevano ancora fame.
Allora il padrone non gli dava nemmeno un tozzo di pane e così risparmiava.
Il ragazzo capiva che questo andazzo non poteva durare e studiava qualcosa per vendicarsi.
Un bel giorno, mentre pascolava i maiali, fu avvicinato da un signore. "Di chi sono questi bei maiali grassi?" chiese l’uomo.
E il ragazzo: "Sono tutti miei".
"Me li vendi? Ti pago bene!".
"Si, si – rispose il ragazzo – però mi dovete lasciare la coda di uno dei maiali".
Meravigliato l’uomo acconsentì. Contò le bestie, pagò bene e si portò via tutti i maiali.
Nel campo c’era un pozzo. Il ragazzo mise sul bordo la coda del maiale e cominciò a gridare a squarciagola: "Padron tondo, padron tondo, tutti i maiali vanno a fondo.
Il padrone corse, e, babbeo com’era, credette che i maiali fossero caduti nel pozzo.
Il ragazzo si disperò, disse che una forza malefica, forse il malocchio di qualcuno, aveva spinto le bestie a gettarsi nel pozzo e che lui, poverino, non era riuscito a tenerli; che gli era rimasta la coda in mano dell’ultimo maiale.
Ritornarono a casa: il padrone con gli occhi di fuori, inebetito, il ragazzo all’apparenza triste, ma in cuor suo tanto contento, perché era riuscito a vendicarsi e, soprattutto, era consolato dai soldi che sentiva sulla pelle sotto la camiciola.
Passò qualche giorno.
Stavolta il ragazzo pascolava le pecore in un prato con un solo grande albero in mezzo.
Passò il solito signore.
"Di chi sono queste belle pecore?"
"Mie, mie" si affettò a rispondere il pastorello.
"Te le compro tutte".
"Non tutte lasciatemene una".
"Va bene" disse il signore. Gli dette un bel sacchetto di quattrini e se ne andò con le pecore.
Allora il ragazzo legò ai rami alti dell’albero la pecora e, con quanto fiato aveva in corpo, cominciò a gridare: "Padron nero, padron nero, tutte le pecore vanno in cielo".
Il padrone accorse: quando in alto vide sulla quercia la pecora che sembrava volare, credette alla magia anche questa volta.
Così il garzoncello ritornò a casa sua, dalla sua mamma e dai suoi fratellini, con un bel gruzzolo di soldi e li potè sfamare come Dio comanda.
Il padrone cattivo e babbeo rimase con un palmo di naso.
GATTO MAMMONE
C’era una volta una donna che aveva due figlie. Una, Teresa, bella, buona, ubbidiente, gentile e pronta ad aiutare il suo prossimo; l’altra, Peppa, arcigna, dispettosa, bighellona, sempre di malumore e sgarbata con tutti.
Non sembravano nemmeno sorelle, tanto erano diverse.
Un giorno la mamma, stanca per aver lavorato nell’orto, disse: "Ci sono i panni da lavare, ma io sono stanca, non ce la faccio più. Che va al pozzo a lavare?".
Peppa nemmeno le rispose, Teresa fece con un asciughino una coroglia, se la mise in testa, sopra si aggiustò il capisteio con i panni, e si avviò verso il pozzo canterellando.
Strada facendo, trovò un gattino tutto grigio che cercava di fare la sfoglia su un sasso.
Teresa si fermò meravigliata per questa stranezza. "Che cosa è mai questo? Io non ho mai visto un gattino fare la sfoglia! O come fai povero animaletto?".
Scotendo il capo, posò in terra il capisteio e dette una mano al gattino, che la guardava fare con aria molto contenta.
Quando ebbe finito, riprese i suoi panni e continuò il cammino verso il pozzo.
Non aveva fatto che pochi metri, quando s’imbatte in un altro gattino, questo rossastro, che cercava di fare il pane.
"Ma anche tu come vuoi fare? Non vedi che ti sei impiastricciato tutto?"
posò di nuovo il capisteio e aiutò il gattino, il quale, contento, sembrava la ringraziasse come avesse la parola.
Poi Teresa, finalmente, arrivò al pozzo; tuffò i panni nell’acqua, fece per insaponarli, ma il pezzo di sapone, grosso come quelli che una volta si confezionavano in casa, le cadde nell’acqua.
Sentì una voce dire: "Gatto mammone che il sapone torni al suo padrone" e, come per incanto, il pesso di sapone le tronò fra le mani.
Un po’ stordita da questi strani avvenimenti, finì di lavare.
Mentre stava per tornare a casa, sentì la solita voce: "Cara Teresa, sei stata buona con i miei gattini e io intendo premiarti. Nel cammino di ritorno a casa, quando sentirai ragliare un asino, non ti voltare. Voltati invece quando sentirai cantare un gallo".
Così fece Teresa: non si voltò al raglio dell’asino, si voltò invece al canto del gallo. E allora sentì sulla fronte una dolce carezza, un bacio lieve. Si toccò e percepì qualcosa, che, giunta a casa, si dimostrò essere una stellina brillante sulla fronte che le illuminava gli occhi e i capelli e che la rendeva bellissima.
La madre si commosse, ma la Peppa moriva d’invidia e, senza nemmeno sentire il racconto della sorella, credendo che bastasse andare a lavare al pozzo per avere questo dono, raccattò qualche cencio e partì di carriera.
Anche lei incontrò il gattino che faceva la sfoglia, lo derise e gli tuffò il muso nella farina; incontrò il gatto che faceva il pane e gli appiccicò l’impasto a tutte e quattro le zampine, così che la bestiola non poteva più muoversi.
Arrivata al pozzo, bagnò i quattro cenci che si era portata.
Perse il sapone, una voce disse: "Gatto Mammone non sia reso il sapone".
Arrabbiata Peppa raccolse i panni per ritornare a casa.
"Nel percorso per tornare a casa, quando sentirai ragliare un asino voltati; non ti voltare quando sentirai il canto del gallo".
Peppa, almeno questa volta nella sua vita, ubbidì: al canto del gallo non si voltò, al raglio dell’asino si voltò.
E sentì sulla fronte come uno schiaffo potente che la fece sobbalzare dal dolore. Si toccò e si sentì un biccio che cresceva, cresceva, cresceva fino a diventare una grigia e invadente coda di somaro che le copriva il naso e le scendeva fin sotto la bocca.
Cercò di strapparla quella brutta coda; ma si fece male; tentò di nasconderla sotto i capelli, ma quella brutta cosa le ricadeva inesorabile sulla faccia. Non poteva tornare a casa, perché tutti l’avrebbero vista; così aspettò che facesse buio per poi sgattaiolare a casa.
La mamma e Teresa sbalordite non sapevano cosa fare. E intanto Peppa piangeva, si disperava, invocava aiuto: aveva capito che era stata punita per la sua cattiveria.
Cominciò a dire fra le lacrime: "E’ tutta colpa mia, sono cattiva, invidiosa, maligna. Non dovevo comportarmi male…".
Ad ogni parola di pentimento la coda diminuiva di qualche centimetro, finchè scomparve e la fronte ritornò liscia come prima. Ma potete star sicuri che Peppa da quel giorno, dopo la paura, cambiò carattere e diventò una brava bambina.