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Davide Lazzaretti nacque ad Arcidosso il 6 Novembre 1834, da ragazzino affascinato da un paio di penitenti che vagavano nella zona e dalla religione, avrebbe desiderato farsi prete, ma fu costretto al mestiere del padre: il barrocciaio, trasportando terre argillose, legna o carbone, in lunghi viaggi fino alla Maremma o, passando per la Sabina, ai dintorni di Roma. Verso i quattordici anni, nel bosco di Macchiapescali, vicino Cana, gli apparve un vecchio frate con un mulo: gli predisse che la sua vita era un mistero, di cui si sarebbe reso conto un giorno. Davide si sentì male, colpito da febbre alta e forte mal di testa.
Dimentico di tutto, uomo prepotente ed arrogante fino all’età di 34 anni, quando Davide si ammalò di nuovo con gli stessi sintomi di vent’anni prima, ebbe ancora la visione del frate, che lo portava con sé in una navigazione nel mare in tempesta e in altre visioni, e gli diceva di recarsi a Roma per riferirne al Papa. Appena stette meglio, Davide, andò davvero in Vaticano, ma fu deriso e scacciato. Ebbe altre visioni che lo incoraggiavano a riprovare e, aiutato da un vescovo originario dell’Amiata ci riuscì, alla fine del 1868: raccontò a papa Pio IX le sue visioni e lo esortò a sostenere il ritorno della chiesa agli insegnamenti del Vangelo, ma fu liquidato con parole di conforto e una corona del rosario nuova.

Davide aveva scoperto un luogo dov’era una grotta che era stata dimora di altri mistici, nei dintorni di Montorio romano in Sabina (ci passava spesso col barroccio) e decise di farci un ritiro spirituale: vi predicò, fece profezie e trovò ascolto tra i contadini, fino ad avere fama di santo. Conobbe un altro eremita, un frate tedesco, Ignazio Micus, che divenne suo seguace. Decise di murarsi dentro la grotta, lasciò un’apertura sufficiente perché fra Micus gli potesse passare un po’ d’acqua e pochissimo cibo. Davide rimase per 47 giorni nella grotta, vi vide la Madonna, nelle vesti di una pastorella, e altri tre personaggi tra cui il vecchio frate; essi cominciarono a svelargli il mistero della sua vita e gli fecero dei doni: la Madonna gli donò sapienza e protezione, il frate gli donò un marchio, dopo essersi portato la mano alla bocca gliela appoggiò sulla fronte provocandogli un dolore terribile. E una notte, col cielo in tempesta nella grotta si accese un’alta fiamma, udì la voce di Dio pronunciare l'ordine di gettarsi nella face: ne avrebbe tratto le virtù che essa conteneva. Con paura, Davide entrò nella fiamma ma non si bruciò, sentì che gli erano stati “purificati le membra e il senno”, rimessi i peccati e acquistato il dono della profezia.
Quando uscì dalla grotta portava veramente un marchio sulla fronte: due “C” di cui la prima rovesciata, separate da una croce (lo teneva coperto da un ciuffo di capelli). Davanti alla grotta furono costruiti una cappella e un piccolo eremo, Davide rimase in zona per circa cinque mesi, poi cominciò ad essere inviso alle autorità locali e a ricevere lettere preoccupate dalla moglie, e nei primi mesi del 1869 ritornò ad Arcidosso.
Davide si mostrò uomo completamente cambiato, le persone cominciavano a vedere in lui il profeta e ne cercavano la parola. Fu coinvolto dall’arciprete nella costruzione di una chiesa ad Arcidosso, ma i lavori furono interrotti da un terribile incidente che provocò la morte di un ragazzo di vent’anni. Afflitto dall’accaduto, si ritirò nel podere di un suo amico, su un fianco del monte Labbro, vi faceva una vita di ore di preghiera e penitenza e lavorava un campo che intendeva seminare, ma tante persone cominciarono a raggiungerlo perché parlasse loro e, per dargli più tempo per predicare, si offrirono di lavorare per lui; il 13 Aprile 1869, ben 180 persone dissodarono, in una sola giornata, la terra che Davide chiamò “Il campo di Cristo”. A seguito di un’altra visione decise di costruire una torre sulla cima del monte Labbro; fu innalzata nel Luglio 1869, gli era stato concesso il permesso purché i muri fossero stati “a secco”, ma dopo il crollo di una delle parti più alte della torre (erano tre celle circolari sovrapposte), gli fu concesso di completarla con l’aiuto della calce. Si stava costruendo anche un eremo e una cappella.

Nel 1870, fondata un’organizzazione, chiamata “Istituto degli Eremiti penitenti e penitenzieri”, Davide, partì per uno dei suoi ritiri e scelse l’isola di Montecristo, stette via un paio di mesi e quando fece ritorno ad Arcidosso, trovò più di 2000 persone ad aspettarlo.
Davide, recitò brani tratti dal suo libro Il risveglio dei popoli, che conteneva profezie, preghiere e le regole di una struttura sociale: la “Società della Santa lega o Fratellanza Cristiana”. Annunciò anche che era giunto il tempo della “legge del Diritto dello Spirito Santo”, che seguiva la legge di Giustizia del Padre e la legge di Grazia del Figlio. L’organizzazione sociale si sviluppò con l’aiuto degli “Eremiti penitenti e penitenzieri”che aiutavano Davide a dare impulso alla comunità, fu così possibile dare aiuto spirituale e materiale alle famiglie dei seguaci e agli altri che si fossero trovati in condizioni di bisogno, anche se di passaggio.
Nell’agosto 1871 Davide fu arrestato, l’accusa era di truffa nell’organizzazione della “Santa lega”. Fu portato nel carcere di Scansano, ma con l’aiuto dell’avvocato Giovanni Salvi ottenne il “non luogo a procedere” da parte del tribunale di Grosseto.
Tornato alla sua gente, Davide costituì una forma cooperativica ancora più avanzata, che si ispirava al modo di vita dei primi cristiani, ampliava la “Santa lega” e riuniva ben 80 famiglie. La maggior parte erano contadini che abitavano nei poderi di quel comune, ma altri venivano anche dalle zone confinanti, come Roccalbegna (il cui territorio lambisce il lato di ponente del monte Labbro) dove c’era al tempo un sacerdote, che si chiamava don Giovanni Pierini, che volle bene a Davide.
Erano giunti al monte anche due sacerdoti Giovanni Battista Polverini e Filippo Imperiuzzi (che sarà sempre a fianco di Davide); nel 1873, Davide, recatosi in Francia per un viaggio di cui si sa poco, aveva scritto in francese, una delle sue opere più importanti: Il libro dei Celesti fiori. Durante il viaggio aveva avuto occasione di conoscere, a Torino, un uomo buono e dal gran cuore che, come lui, curava i poveri cercando di liberarli dalle catene dell’analfabetismo: don Giovanni Bosco, che gli fu amico e gli volle bene
Fu fatto arrestare sempre nel 1873, dalla magistratura di Rieti, con l’accusa di truffa e vagabondaggio in terra di Sabina; fu condannato a un anno e tre mesi, ma con l’aiuto dell’avvocato Salvi e della moglie, che si era impegnata in una colletta, ottenne presto la piena assoluzione e la scarcerazione.

Mentre Davide non c’era, amministravano la comunità due persone che, seppur agiate, avevano rubato e operato male e, quando tornò al monte, trovò la società ridotta in tristi condizioni. Davide la sciolse, prese a suo carico tutto il debito e ne affidò l’amministrazione agli “Eremiti penitenti e penitenzieri” che in un paio di anni, riuscirono a riportare i bilanci in pareggio e a rimborsare tutti i creditori.
Nell’autunno del 1875, partì per Lione e rimase in Francia fino ai primi del 1878 e, vivendo altre vicende sulle quali si possono proporre solo ipotesi, curò la traduzione de Il Libro dei Celesti fiori, in questo testo sono compresi inni, lodi a Dio, alla Madonna, alla divinità di Gesù Cristo e allo Spirito Santo, cui sarebbe spettato l’emanazione della legge del Diritto.
Nel frattempo, aveva pubblicato anche La mia lotta con Dio - il libro dei sette sigilli, una derivazione dell’Apocalisse di Giovanni, dove c’è un’indomita difesa dell’umanità e dei suoi peccati, da parte di Davide, in un drammatico confronto con Dio. Questo libro causò la sua denuncia al sant’Uffizio, che lo convocò quando nel 1878 si trovava ancora in Francia.
Davide rientrò per l’ordine ricevuto, ma prima di andare a Roma passò due giorni al monte dove annunciò che la confessione auricolare era sostituita da quella “di emenda” (si chiedeva perdono dei propri peccati direttamente a Dio) e proclamò che le pene infernali non sarebbero più state eterne. Giunto in Vaticano fu messo a duro confronto con i fiduciari del nuovo papa Leone XIII: le loro accuse basate sugli scritti e sull’impegno sociale di Davide, lo intimorirono e misero in difficoltà. Tutti i suoi scritti furono messi all’indice dei libri vietati, fu costretto a una generica ritrattazione e a scrivere una lettera ai due sacerdoti dove dichiarava sciolte le società che aveva fondato. Ripartì per la Francia, dove ancora si trovavano la moglie e i figli; ma al monte Labbro solo don Polverini (che era stato sospeso dal vescovo, insieme all’Imperiuzzi)  lasciò la comunità, gli “Eremiti” non accettarono la condanna e gli scrissero esortandolo a tornare, confermandogli che ne riconoscevano la figura di Cristo in seconda venuta, in riferimento alla Legge del Diritto dello Spirito Santo. Davide, allora, annunciò per lettera il suo ritorno dalla Francia e così fece.

I primi di Luglio 1878 Davide annunciò una manifestazione per il 14 Agosto: sarebbe stata l’inizio del tempo della riforma dello Spirito Santo, il tempo in cui le profezie si sarebbero realizzate.Tante persone continuavano a salire al monte Labbro, per pregare e ascoltarlo, alcuni considerandolo un sant’uomo e altri il messia. Sulla vetta fu innalzata una bandiera rossa col simbolo della croce e delle due “C” contrapposte, e un tabellone dello stesso colore con la scritta “La Repubblica è il regno di Dio”. Ciò allarmò le autorità, forse convinte che si stesse preparando un’insurrezione armata, anche se Davide Lazzaretti aveva sempre esortato alla pace, eletta a bene supremo. La chiesa ufficiale aveva nel frattempo emesso una condanna per eresia, con conseguente scomunica per Davide e tutti i cristiani giurisdavidici, i suoi seguaci.

E venne il giorno tanto atteso dell’inizio della “riforma dello Spirito Santo a conferma delle divine promesse”, migliaia di persone erano salite sul monte la sera del 14 Agosto, erano stati accesi dei fuochi dalle alte fiamme e si pregava, però Davide appariva turbato; decise infine di rimandare la manifestazione, che tutti attendevano per la mattina, a dopo le celebrazioni per la festa dell’Assunta: furono tre giorni di preghiere e brevi processioni fatte sulla vetta del monte. Poi partirono, era l’alba del 18 Agosto 1878: Davide, misteriosamente, chiese a tutti di non bere e mangiare “finché fosse fatta la vittima” e consegnò a tutti, con l’invito di portarlo ben visibile, il contrassegno con il suo simbolo. Partirono in circa tremila, ma in tanti si univano man mano che la processione andava avanti venendo dai poderi e dai paesi vicini, molti altri aspettavano fuori Arcidosso, ma ad attendere il grande corteo c’era anche un gruppo di una decina di militari al comando del delegato Carlo de Luca; appena i militari si avvicinarono, Davide ordinò che si facesse silenzio, andò verso il delegato che subito gli intimò “in nome della legge” di retrocedere e di sciogliere il corteo; ma Davide gli rispose che lui andava avanti in nome della Legge del Diritto. A un’ulteriore ingiunzione a tornare indietro, fatta coi fucili spianati, replicò: “Io vengo avanti a nome di quel Cristo giudice... vi porto la pace, se volete la pace; volete misericordia, porto misericordia, volete il sangue! Ecco il mio petto... tirate a me e salvate il mio popolo!”. Dopo minuti di altissima tensione ci furono grida che invitava i militari a sparare, alcuni fucili “fecero cilecca”, ma un bersagliere che si era unito “a sostegno”, sparò colpendo alla fronte Davide che cadde tra l’incredulità dei fedeli. Allora salì alto l’urlo di sdegno della folla, impauriti e circondati i militari persero la testa: si dettero alla fuga sparando alla cieca e lasciarono a terra tre morti, mentre oltre cinquanta furono i feriti. Ma di coloro che avevano lo scudo che era stato distribuito da Davide, non fu colpito nessuno, e questo fu il segno prodigioso chiesto più volte al profeta con sarcasmo. E mentre il farmacista negava le medicine per prestare i primi soccorsi ai feriti, Davide in coma veniva portato nel vicino paese di Bagnore, nella casa di un suo condiscepolo, ma dopo nove ore in cui non riprese mai conoscenza, Davide Lazzaretti spirò.
Già nel pomeriggio e poi la sera e la notte i militari, tornati in forze, cercarono e arrestarono, incatenandoli come i peggiori criminali, quasi tutti i giurisdavidici che non opposero la minima resistenza. Andarono nella casa dove Davide era ancora in agonia e arrestarono sua moglie e il figlio maggiore, che era solo un ragazzo. Furono ammassati nelle carceri di Arcidosso e dei paesi vicini poi, mandati liberi i bambini e le donne, trasferiti nelle prigioni di Grosseto. Si trattava di una novantina di uomini, dopo quasi un anno di carcere preventivo, molti vennero prosciolti in istruttoria e ventitré rinviati a giudizio, per attentato alla “sicurezza dello stato”; ma al processo tenuto a Siena a fine 1879, con la testimonianza di quasi 150 persone, furono tutti assolti con formula piena, rimessi in libertà e festeggiati dal popolo senese.

Franco Pastorelli  ©

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